I supereroi possono essere divisi in due grandi categorie: ci sono quelli come Superman e l’Uomo Ragno, provvisti di superpoteri, e ci sono quelli come Batman o Iron Man, che invece sfruttano il potere della tecnologia per andare oltre le possibilità umane.
Forse il momento nel quale la scienza potrà darci capacità impensabili non è poi così lontano, e questo senza avere a disposizione i miliardi di dollari di Bruce Wayne o Tony Stark: dei microchip installati nel nostro cervello potrebbero garantirci sensi super acuti e capacità di memoria degni di un super-computer. Non si tratta di fantascienza: gli impianti cerebrali, detti anche neuroprotesi, sono già in grado di restituire la vista e l’udito, anche se la loro applicazione non è ancora così diffusa.
“Gli impianti cerebrali sono oggi al punto nel quale si trovava la chirurgia oculare laser vari decenni fa”, spiegano Gary Marcus, professore di psicologia della New York University, e Christof Koch, responsabile scientifico dell’Allen Institute for Brain Science di Seattle. “Non sono immuni da rischi, ed hanno senso soltanto per un gruppo di pazienti strettamente definito. Ma sono un segnale delle cose che arriveranno“.
La neuroprotesi più comune è il cosiddetto impianto cocleare, che permette a determinate persone sorde di tornare a sentire: l’impianto cattura i suoni da un microfono, e poi stimola il nervo uditivo attraverso degli elettrodi, permettendo quindi al cervello di sentire. In effetti in questo modo non si riesce a ricreare un vero e proprio udito.
L’impianto permette infatti a chi lo utilizza di percepire i suoni in un modo diverso da quello di una persona con un udito normale, ma rappresenta un notevole miglioramento di questo senso così importante. E non è certamente una cosa da poco: per averne conferma, basta vedere la reazione della donna nel video sottostante, che per la prima volta nella sua vita può sentire il suono della propria voce.
Allo stesso modo, anche l’impianto approvato l’anno scorso dalla statunitense Food and Drug Administration (FDA) non riuscirà a ridare la vista alle persone affette da retinite pigmentosa in stato avanzato, ma potrà permettergli di percepire le forme degli oggetti ed il movimento delle persone intorno a loro. L’impianto messo a punto da Second Sight sfrutta il lavoro di 60 elettrodi che compongono quella che viene definita una “protesi retinica”, che funziona in parallelo con degli occhiali dotati di una microcamera e di un chip, che tramite gli elettrodi inviano segnali alla retina.
Anche i malati di Parkinson possono trarre vantaggio dalle neuroprotesi, con un impianto che, grazie ad un elettrodo, riesce a stimolare il cervello in modo da controllare i movimenti e diminuire i tremori. Purtroppo questo dispositivo è in grado solamente di intervenire sui sintomi del Parkinson, ma non di contrastare l’avanzata della malattia.
Questo è il presente delle neuroprotesi, ma cosa ci riserva il futuro? Come detto, fra non molti anni questo tipo di tecnologia potrebbe garantire agli esseri umani qualcosa di molto simile a dei superpoteri. Persino la stimolazione cerebrale tramite elettrodi posti esternamente al cranio ha dimostrato di poter avere risultati estremamente interessanti.
Nel 2013, nel corso di uno studio dell’Università di Oxford, i ricercatori hanno verificato che una lieve stimolazione elettrica permetteva ad alcuni soggetti di imparare delle formule matematiche da due a cinque volte più velocemente rispetto ad altri soggetti che non avevano ricevuto la stessa stimolazione cerebrale. Aspetto ancor più incredibile: pur se notevolmente affievolito, questo “vantaggio cognitivo” ha continuato a produrre i propri effetti per altri sei mesi.
Dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, negli Stati Uniti, la Defense Advanced Research Projects Agency nell’ambito dell’iniziativa Brain Research through Advancing Innovative Neurotechnologies (BRAIN) sta sviluppando due progetti, che godono del diretto supporto del presidente Barack Obama. Il primo si chiama SUBNETS, ed è mirato all’utilizzo di neuroprotesi per la cura di disturbi post-traumatici e depressione.
Il secondo è denominato RAM (come la memoria volatile dei computer), e punta a sviluppare un dispositivo in grado di porre rimedio alla perdita di memoria ed a riparare i danni cerebrali. Non si tratta del tipo di memoria che aiuta a rammentare il nome o il volto di una persona: si tratta di riacquisire basilari capacità motorie, in grado di migliorare la qualità della vita dei pazienti.
Il prossimo passo che dovrà essere compiuto in questo campo è infatti quello di recuperare le capacità perdute. Una volta che questo traguardo sarà stato raggiunto, l’obiettivo sarà quello di potenziarle: “Anche adesso alcuni genitori lasciano che i loro figli prendano l’Adderall (uno psicostimolante, ndr) prima di un esame importante”, spiegano Marcus e Koch. “La possibilità di avere un ‘superbambino’ (o almeno uno in grado di restare calmo e concentrato durante un esame) sarebbe una tentazione troppo forte per molte persone”.
Tutti gli impianti descritti sopra sono mirati a permettere ai pazienti di recuperare determinate funzioni, ma sfruttando lo stesso principio di funzionamento potrebbe essere possibile potenziare le capacità umane: un impianto oculare potrebbe ad esempio permettere di migliorare la visione notturna, o magari consentire di “zoomare” su un punto specifico distante anche centinaia di metri. Come già spiegato, non si tratta di fantascienza: tanto per fare un esempio, delle lenti a contatto in grado di zoomare e di migliorare la vista fino a tre volte sono già in avanzata fase di sviluppo.
Esistono delle difficoltà che devono essere superate prima di arrivare ad ottenere i “superpoteri” tramite le neuroprotesi, ed è su questo che dovrà focalizzarsi la ricerca negli anni a venire: “Parte del problema è meccanico”, affermano Marcus e Koch. “Il cervello ondeggia nel cranio ogni volta che ci si muove, e un impianto che si sposta di un millimetro potrebbe diventare inefficace“.
“Un’altra parte del problema è biologico: l’impianto deve essere non tossico e biocompatibile, in modo da non provocare una reazione immunitaria. Deve anche essere piccolo a sufficienza da essere completamente rinchiuso nel cranio e sufficientemente efficiente dal punto di vista energetico da poter essere ricaricato tramite bobine ad induzione da applicare sul cuoio capelluto durante la notte. Questi ostacoli possono sembrare scoraggianti, ma molti di loro appaiono sospettosamente simili a quelli che i produttori di telefoni cellulari hanno avuto decenni fa, quando questi dispositivi erano grandi quanto una scatola da scarpe”.
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