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Beni sequestrati, cricca e vendetta su Maniaci

By   /  10 Maggio 2016  /  No Comments

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Quando uno indica pericolosamente la luna, l’unica cosa per distogliere l’attenzione degli imbecilli è quella di indicare il dito. Questo adagio popolare dedicato agli imbecilli e ai conformisti è quello che più si attaglia alla situazione kafkian-pirandelliana in cui si è venuto a trovare il direttore di Telejato, Pino Maniaci, l’uomo che con le proprie denunce aveva fatto scoppiare il caso della gestione dei beni sequestrati alla mafia a Palermo e che aveva già promesso di raccontare lo scandalo dell’amministrazione dei beni del Tribunale fallimentare della stessa città.

 

Casi in cui da anni si ritrovano gli stessi nomi di figli di magistrati, avvocati, notabili vari, ufficiali dei carabinieri e della finanza e chi più ne ha più ne metta. La brutta storia della giudice Silvana Saguto, che qualcuno negli uffici della Procura di Palermo sta cercando di evitare che esploda in maniera dirompente travolgendo tutto e tutti. E anche a Caltanissetta, dove su questa vicenda indagano da più di due anni si procede con i piedi di piombo. Evitando gli arresti clamorosi che in casi molto meno gravi vengono quasi “regalati”. Ma qui ci stanno di mezzo i colleghi e le loro famiglie e si sa… “cane non morde cane”, per adoperare il colorito linguaggio che spesso usa lo stesso Maniaci nelle sue ormai “leggendarie” invettive a Telejato.

 

Stavolta la “vendetta” è stata consumata però con il piatto ancora caldo, profittando del fatto che i simboli antimafia di mezza Italia sono tutti in crisi proprio per l’allegra gestione di questi beni o, peggio, per la gestione dell’immagine spregiudicata di alcuni di questi eroi di carta che in taluni casi potrebbero aver commesso reati molto gravi. Profittando di questa congiuntura “favorevole”, quindi, qualcuno mette fuori strada la Procura di Palermo, e quel qualcuno potrebbe stare tra i carabinieri di Partinico, che avevano molti motivi di rivalsa contro Maniaci che parlava di loro nelle trasmissioni televisive come quelli del “Reparto aperitivo”. Una faida da strapaese che si innesta in un contesto molto ma molto più grande: la paura di tanti pm della Procura di Palermo di muoversi su quel campo minato, ancora in gran parte inesplorato, della gestione dei beni di mafia con parcelle, ça va sans dire, milionarie in euro ai beneficiati. E con risultati modestissimi per lo Stato: il 90 per cento delle imprese va in fallimento entro pochi mesi, 80mila incolpevoli operai perdono il posto di lavoro e soprattutto passa il messaggio devastante che finché i beni erano dei mafiosi il lavoro c’era, mentre quando lo Stato dopo tante spese e fatica li confisca allora arriva il licenziamento.

 

La conferenza stampa dello scorso sei maggio, concertata a Palermo dallo stesso Maniaci insieme ai suoi difensori, uno dei quali si chiama Antonio Ingroia (e scusate se è poco), ha aperto però le menti a molti rappresentanti dei media che nei primi giorni avevano abboccato all’esca dell’“ennesimo episodio di un antimafioso peggio della mafia”. Chi vuole può risentirla in integrale qui per farsi un’idea senza preconcetti.

 

Sabato inoltre, uno dei due presunti estorti da Maniaci, il sindaco di Partinico, ha convocato un Consiglio comunale apposta per ribadire che questa cosa non sta in piedi e che lui non ha subito estorsioni da nessuno. E d’altronde, nelle intercettazioni sapientemente montate dai carabinieri nello spot anti-Maniaci, magari su immagini e video che non c’entrano niente con le parole in audio (cosa per la quale Maniaci ha intenzione, se non l’ha già fatto, di presentare querela di falso), si parla di pagamenti di poche centinaia di euro. Per i quali oltretutto esistono le ricevute. In realtà piccola pubblicità sull’emittente in questione così come gli enti locali usano da sempre farne su tantissime testate locali, televisive e non. Emettere fattura per un’estorsione sarebbe dunque abbastanza grottesco. Inoltre, se davvero gli inquirenti avessero sospettato che questo reato fosse stato messo in atto, perché non arrestare direttamente Maniaci? Bastava pedinarlo, continuarlo a intercettare e prenderlo con le mani nel sacco così come fecero a suo tempo con Mario Chiesa il 17 febbraio del 1992, tanto per fare un esempio ormai passato alla storia. Al netto del rispetto per le indagini in corso ma anche del garantismo dovuto a una persona come Maniaci che viene inserito da “Reporters sans frontières” tra i cento giornalisti più esposti e quindi più eroici nella denuncia pubblicistica contro il crimine organizzato, l’intera vicenda appare una bufala.

 

Sentito da chi scrive, Maniaci dice di non avere dubbi: “Hanno colpito me in questa maniera un po’ infame prima che io potessi colpire loro… sanno di stare su un campo minato, anzi con il piede sulla mina e sanno che quanto emerso sinora sulla gestione dei beni della mafia a Palermo, ma non solo in quella città, è lo scandalo più grande della storia d’Italia… e sanno anche che finora solo la punta dell’iceberg è emersa”.

 

La cosa più sgradevole su cui sembrano aver puntato quelli che così credono di potersi vendicare di Maniaci e screditarlo è la storia dei cani impiccati, ma qui è stato fatto anche il primo autogol. Sentiamo dalle parole dello stesso Maniaci come invece starebbero le cose: “Io quei due animali che mi hanno impiccato davanti casa li adoravo e ancora adesso ci piango, nessuno sa chi li ha uccisi, la denuncia è contro ignoti ma nessuno ha anche mai indagato, nemmeno dopo quella telefonata… a dare retta alla quale io attribuirei la loro atroce morte all’ex marito della mia amica intima… eppure, a parte il maltrattamento e le sevizie, se io avessi detto il vero e non una battuta, magari stupida e non felice, per fare sentire in colpa una donna che bramavo, e se chi mi ascoltava fosse stato convinto di ciò, prima di dare in pasto la cosa ai cronisti vendendomi come l’ennesimo truffatore antimafioso avrebbero dovuto indagare… perché quella cosa poteva anche essere inquadrata come un’intimidazione mafiosa per la quale pure, se non erro, l’arresto è obbligatorio”.

 

Chi scrive ha sentito anche uno dei suoi difensori, proprio l’ex pm Antonio Ingroia, che conferma le proprie perplessità non tanto sull’operato dei pm di Palermo, suoi ex colleghi, “senza per questo assumere le vesti di avvocato di ufficio loro”, quanto “dei carabinieri di Partinico che hanno confezionato questo video spot, montato ad arte per nuocere al mio assistito, dalla telefonata con Renzi che sembra fatta apposta per sottolineare l’ipocrisia di Maniaci alla storia dei cani… senza dimenticare l’assurdità di avere fatto il blitz a casa sua alle tre del mattino. la stessa notte in cui vanno ad arrestare altri nove presunti mafiosi che però nell’inchiesta che riguarda Maniaci non c’entrano affatto”.

 

Verrebbe da dire che chi di antimafia ferisce di antimafia perisce, ma il caso è molto più complesso come si spiegava all’inizio. Qui il sospetto è che si tratti di una manovra diversiva e insieme di vendetta per distogliere l’attenzione dalla inchiesta che va molto lentamente avanti a Caltanissetta sulla gestione di questi beni mafiosi, che, come sottolinea Ingroia, “spesso venivano sequestrati su segnalazione ai magistrati da parte degli stessi consulenti della Procura che poi ne stimavano il valore determinando così anche la propria stessa parcella”.

 

E quale migliore diversivo che stornare l’attenzione dalla denuncia sul denunciante? “Quando il dito indica la luna, l’imbecille guarda il dito”. E a volte gli imbecilli possono essere opportunamente indirizzati da chi ha interesse che un fatto venga registrato dall’opinione pubblica in una maniera o nell’altra.

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